
La prima cosa che insegniamo nella meditazione per la consapevolezza consiste nel chiedere alle persone di stare tranquillamente sedute e cercare di localizzare il respiro in un punto particolare del corpo, un punto che sia facile da ascoltare, per esempio l’addome.
All’inizio le invitiamo a seguire semplicemente il respiro, quindi a osservare tutto ciò che di importante si manifesta a livello cosciente. In questo modo diventano consapevoli delle cose più disparate nei momenti più diversi: suoni, immagini, sensazioni corporee. Chiediamo loro di osservare quello che accade con immediatezza, senza interpretazioni o giudizi. Se, per esempio, qualcuno prova dolore fisico, invece di lasciarsi trasportare da pensieri come “è un bene” o “è un male”, oppure “sto male perché sono cattivo”, gli chiediamo di diventare consapevole delle sensazioni che prova, come calore, senso d’oppressione o tensione. In questo modo prendono coscienza di quanto le sensazioni possano continuare a cambiare, e dei fatto che “il dolore” non è niente di immutabile o di permanente. Scoprono anche di non essere sempre capaci di controllare le sensazioni che provano: il dolore non si manifesta in seguito a un loro desiderio, quindi imparano a non sentirsi responsabili della loro sofferenza. Questa non appartiene a loro, è il risultato dell’incontro di terminate condizioni che crea la sensazione.
Li invitiamo quindi a considerare ciò che sentono nel profondo di se stessi: in questo modo si rendono conto che il fenomeno scompare da solo; riescono a individuare, così, la natura dell’esperienza che stanno provando. Se riescono in questo intento, la loro mente diventerà calma e immobile: non si sposterà più al passato o al futuro, ma si fermerà sull’esperienza del momento presente.
L’invito è anche quello di pervenire alla purezza dell’osservazione: devono semplicemente imparare a osservare, sia che si tratti del respiro, sia di una sensazione come il dolore, o di qualsiasi altra cosa si manifesti a livello cosciente. Osservare quindi senza provare desiderio, avversione o indifferenza: l’oggetto della meditazione – piacevole, spiacevole o neutro che sia – dovrebbe infatti portare il soggetto a non provare più desiderio, avversione o indifferenza.
Importante è imparare a distinguere la consapevolezza intesa come ordinaria attenzione da quella che invece possiede questo carattere di purezza. Le persone sono invitate a praticare la meditazione in qualsiasi momento: da seduti, camminando, bevendo una tazza di tè o lavorando. All’inizio incominciamo con la meditazione sul respiro, poi la pratica diventa progressivamente globale. Qualsiasi cosa può diventare oggetto di meditazione.
Da: Sharon Salzberg, L’arte rivoluzionaria della gioia, Astrolabio Ubaldini, 1995.
Per approfondire:
Le emozioni che fanno guarire. Conversazioni con il Dalai Lama

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