Claudio Lamparelli – La Meditazione Yoga: cos’è e come si pratica

meditazione yoga

La Meditazione Yoga, secondo questa esauriente spiegazione di Claudio Lamparelli, consente di annullare la distinzione tra spazio interno ed esterno.

Come fare Meditazione Yoga

La Meditazione Yoga è un tipo di meditazione che ricorre ad alcune delle tecniche caratteristiche dello Yoga, quali le contrazioni (bandha) e il blocco della respirazione (kumbhaka). Rispetto agli altri esercizi, questo cerca di ottenere l’arresto dell’attività mentale (che secondo gli Yogasutra di Patanjali è lo scopo dello Yoga) e l’ingresso nello stato di samadhi con un insieme di operazioni corporee e di un’intensa concentrazione mentale, che tagliano alla base i pensieri vaganti.

Nella meditazione yoga, si parte sempre dalla prima forma di meditazione che fornisce la sensazione di piacevolezza e che prepara a esperienze più avanzate. Le operazioni da compiere sono:

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  1. sospensione del respiro dopo un’espirazione;
  2. fissazione dello sguardo a occhi chiusi fra le sopracciglia;
  3. contrazione dell’ano e della regione del perineo e
  4. pressione della lingua contro il palato.

Le quattro operazioni devono essere compiute contemporaneamente, ma ad ognuna ci si deve allenare in modo separato. Per quanto riguarda la respirazione, ci si prepari a lunghe espirazioni, seguite dall’arresto del respiro. Mentre si mantengono i polmoni vuoti, si concentri lo sguardo a occhi chiusi nel punto centrale fra le sopracciglia (il «terzo occhio», l’occhio della visione interiore). L’esercizio però non consiste tanto nel fissare quel punto, quanto nel far convergere gli occhi anteriormente, in modo da arrestare il flusso dei pensieri. Esiste infatti un rapporto fra posizione degli occhi e attività mentale.

La contrazione degli sfinteri anali e dei muscoli del perineo (mula-bandha) opera beneficamente sul sistema nervoso simpatico, mentre la pressione della lingua contro il palato (khecari-mudra) agisce sui gangli cervicali. La lingua viene dapprima arrotolata e premuta contro la parte più interna del palato, e poi viene appoggiata alla base dei denti superiori. Contemporaneamente si contrae anche la gola, inclinando il mento verso il petto (jalandhara-bandha).

In realtà tutte queste quattro operazioni della meditazione yoga hanno un effetto stimolante sul sistema nervoso, coinvolgendo i centri (chakra) più importanti del corpo: la regione del perineo e del sesso, la zona cardiaca, la regione della gola e della lingua, e la zona del cervello frontale. Il risultato è un potente impulso inviato al cervello che, oltre a bloccare la respirazione, arresta la comune attività mentale.

Il meditante si troverà così proiettato nello spazio buio della propria interiorità, in ciò che le Upanisad definiscono la «caverna» o il «loto del cuore»: «Lo spazio che si trova all’interno del cuore è vasto quanto lo spazio che si trova all’esterno» (Chandogya-upanisad). In effetti non vi è più una distinzione fra interno ed esterno, e il buio dell’interiorità viene avvertito come il buio cosmico, punteggiato di stelle e di galassie. Non è un caso che il numero dei neuroni nel cervello (10 miliardi) corrisponda al numero delle galassie e al numero di anni che ha la vita dell’universo.

In tal senso il fondo dell’anima si apre a una dimensione universale, e si realizza l’identità tra interno ed esterno, tra microcosmo e macrocosmo, tra sé individuale e Sé cosmico. Il buio diventa traslucido come un firmamento notturno e rivela una vastità sconfinata. Il meditante si sente nello stesso tempo parte e osservatore di questo cosmo. Come un astronauta dello spirito che abbia varcato l’«estremo passaggio», è al di fuori della dimensione terrena ed è colmo di una gioia quale solo l’ultima liberazione dal corpo può dare.

Di fronte a questa sensazione di immensità, viene spontaneo utilizzare il termine «liberazione» (moksa), perché si tratta di un’esperienza di affrancamento dai limiti corporei e dai vincoli che di solito condizionano l’essere umano. Il sentimento è proprio quello di un immenso sollievo. «Quando vengono recisi tutti i legami che avvincono il cuore» dice la Katha-upanisad, «allora il mortale diventa immortale.»

Ma la sensazione è molto breve, perché è connessa alla sospensione del respiro e delle facoltà mentali; non è inoltre integrata, per ora, in uno sviluppo della consapevolezza. Va però attentamente coltivata, essendo la base di altre esperienze di trascendenza, in particolare di quelle della meditazione “senza forma”. Nel frattempo, va considerata un ottimo metodo di concentrazione, per ritrovare periodicamente «quello spirito, quell’atman, della misura di un pollice, che abita nel cuore di ogni uomo e che deve essere estratto dal proprio corpo, come un filo d’erba dalla sua guaina» (Katha-upanisad).

Simili esperienze di samadhi sono utili a squarciare il «velo di Maya» dell’ignoranza cosmica (avidyà) che ci fa scambiare per reale ciò che è irreale e per autentico ciò che è falso. Ma non possono durare a lungo e, a poco a poco, il mondo riprende il sopravvento. È necessario quindi compiere un lavoro di approfondimento e di ricerca, condotto sia per mezzo delle meditazioni discorsive sia per mezzo di altre esperienze di illuminazione, capaci di far penetrare la luce in ogni recesso dell’io e di portare a maturazione l’intera personalità verso quella dimensione «transpersonale» o «transegoica» che è la vera porta d’accesso alla trascendenza.

Da: Claudio Lamparelli, “Manuale di meditazione: Tecniche orientali di sviluppo mentale“, Mondadori, 2017.

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[La foto sulla meditazione yoga è di Mikhail Nilov, Stati Uniti]

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