
È possibile apprezzare quello che è spiacevole, ostile, iniquo, violento, orribile? Ovviamente no: non si potrà gioire di ciò che nuoce. Tuttavia la reazione di avversione-paura che abitualmente sorge davanti al lato oscuro dell’esistenza è anch’essa una penosa prigione dalla quale il lavoro interiore ci può gradualmente liberare. Come?
Prendiamo ad esempio il caso di una persona aggressiva e antipatica di fronte a noi. Un buon livello di pratica di consapevolezza lo possiamo descrivere cosi: il flusso d’antipatia generato dalla nostra mente viene frequentemente interrotto da momenti di consapevolezza. A volte la consapevolezza fa cadere l’antipatia (che può o non può riformarsi in breve tempo), altre volte l’antipatia non cade, ma viene meno la nostra fervida fiducia verrebbe da dire nei suoi confronti, ossia si scioglie la nostra identificazione con l’antipatia. In entrambi i casi l’altra persona sarà vista da noi in modo differente. Meno scontata e incapsulata nel nostro giudizio negativo. Allora diventa anzitutto possibile concepire spunti di apprezzamento per lati di quella persona che prima, accecati dall’antipatia, non eravamo in grado di cogliere. Inoltre ai medesimi aspetti ‘antipatici’ guardiamo ora con occhio più equanime. Equanimità però non vuol dire indifferenza, freddezza o tiepidezza. L’equanimità, al contrario, è portatrice di apertura, di non paura, di atteggiamento stabile e positivo. E questo significa, in sostanza, uno spirito di rispetto davanti al lato oscuro delle cose. Rispetto in luogo della consueta avversione-paura, in luogo di quella automatica proliferazione di giudizi e conclusioni che all’avversione si accompagna. Uno spirito di silenzio interiore e di attesa.
L’atteggiamento giudicante è assente, oppure, se c’è, è circondato da calda consapevolezza. Da notare che mentre l’avversione e la proliferazione mentale negativa davanti allo spiacevole sono esse stesse spiacevoli, esse stesse sofferenza, non possiamo davvero affermare ciò per quanto riguarda lo spirito di rispetto il quale è, anzi, benefico sollievo nella sofferenza e dalla sofferenza.
Abbiamo visto che la gratitudine nasce spontanea dall’apprezzamento. Si può dire che, allo stesso modo, essa nasce dal rispetto? Io credo di sì, aggiungendo però che si tratta di un livello non iniziale di pratica. Sentirsi pieni di apprezzamento e di gratitudine davanti a un paesaggio incantevole è un conto, sentirsi grati in una situazione negativa che abbiamo saputo attraversare con rispetto è un altro conto. Diciamo che su questo versante ci affacciamo su grandi profondità di pratica: la gratitudine verso la sofferenza perché ci ha facilitato l’apertura del cuore, che è fonte di gioia. Il presupposto perché ciò accada è il rispetto, a sua volta fondato sul pilastro per eccellenza, la consapevolezza. Dunque un filo unico che è fatto di consapevolezza, pace, apprezzamento, rispetto, gratitudine, un filo d’oro di libertà e di grazia, così prezioso che dedicargli tutta la vita è il minimo.
Da: Corrado Pensa, “L’intelligenza spirituale. Saggi sulla pratica del Dharma“, Astrolabio Ubaldini, 2002.
Per approfondire:
Corrado Pensa – Testi sulla meditazione, libri, biografia e frasi
L’intelligenza spirituale. Saggi sulla pratica del Dharma

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[La foto è di Strep72]
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